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Quel film su Bin Laden – di Carlo Curti

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Pubblichiamo questo interessante articolo di un nostro ospite abituale, con l’avvertenza che – data la delicatezza delle questioni che vi vengono trattate e delle opinioni che vi vengono espresse – esso rispecchia unicamente il convincimento dell’Autore.  (francesco de maria)

 

“Zero Dark Thirty”, il film di 160 minuti che dovrebbe essere basato sul materiale segreto filtrato dagli autori alla CIA, con titolo da codice delle operazioni speciali dei Navy Seal utilizzato quando l’azione si svolge in piena notte, descrive nei dettagli tutto il processo che portò all’uccisione di Osama Bin Laden nella città pachistana di Abbottabad. Quarantasei minuti della pellicola sono costituiti da un interrogatorio mediante “waterboarding”, la tecnica di affogamento simulato difesa dall’Amministrazione Bush come un metodo efficace per ottenere informazioni segrete. Secondo l’analista politico Wilfredo Amr Ruiz, il filmato è “una glorificazione della violenza istituzionalizzata”. Lo specialista afferma che legittimare le torture e i sequestri di persona, come far passare l’idea che ci possono essere eccezioni per violentare l’integrità e i diritti umani di qualsiasi cittadino in una società molto violenta come quella statunitense è molto pericoloso; potrebbe portare all’incremento della violenza sociale e domestica nella popolazione.

Dopo la presentazione di “Zero Dark Thirty”, lo scorso 18 dicembre (sarà nelle sale dal 4 gennaio), un gruppo di senatori USA ha inviato una lettera ufficiale a chi ha prodotto il film, la Sony Pictures Entertainment. Nella lettera, resa pubblica questa settimana, hanno smentito che le torture ai prigionierisono state alla base delle indagini per individuare il nascondiglio del defunto dirigente di al-Qaeda. Secondo la presidentessa del Comitato di Intelligence del Senato, la senatrice democratica Dianne Feinstein; il presidente della commissione Forze Armate del Senato, il democratico Carl Levin, e il senatore repubblicano John McCain, il film è un’opera “estremamente imprecisa e ingannevole”. Questi affermano che “il film lascia intendere chiaramente che le tecniche coercitive d’interrogatorio della CIA furono efficaci per ottenere decisive informazioni legate al nascondiglio di Bin Laden. Abbiamo controllato i registri della CIA e sappiamo che tutto ciò è inesatto” e aggiungono che il detenuto che fornì maggiori informazioni “lo fece prima di essere sottoposto a tecniche d’interrogatorio coercitive”.

Dichiarazioni a dir poco ridicole per chi legge con occhi non foderati di prosciutto, che confermano tutta la montagna di sospetti sul blitz militare del maggio 2011 nel nord del Pakistan. Ma come? Un prigioniero parla e poi, per riconoscenza, lo si tortura? Bravi! Siete riusciti a far meglio degli italiani nel gennaio del 1982 (operazione Dozier, il generale americano preso dalle Brigate Rosse) quando gli inquirenti, a sequestro concluso, infierirono sui membri dell’organizzazione arrestati (donne comprese) con ogni tipo di vessazioni. Chi ha detto che solo l’allievo può superare il maestro?

Carlo Curti, Lugano

 

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